Language and Text
2021. Vol. 8, no. 1, 57–68
doi:10.17759/langt.2021080107
ISSN: 2312-2757 (online)
Some Notes on the Reception of Dostoevsky in Italy at the Time of Mussolini
Abstract
General Information
Keywords: F.M. Dostoevsky, Italian reception of Russian literature – 1922-1943, Fascist Italy, Fascist culture, Power and Literature.
Journal rubric: World Literature. Textology
DOI: https://doi.org/10.17759/langt.2021080107
For citation: Aloe S.V. Some Notes on the Reception of Dostoevsky in Italy at the Time of Mussolini [Elektronnyi resurs]. Âzyk i tekst = Language and Text, 2021. Vol. 8, no. 1, pp. 57–68. DOI: 10.17759/langt.2021080107.
Full text
Si puo affermare senza rischio di esagerazioni che Fedor Dostoevskij e le sue opere hanno permeato della loro influenza la cultura italiana del Novecento. Cio vale non soltanto per la letteratura, perche il contatto con quelle opere e stato altrettanto intenso da parte del pensiero filosofico e religioso, oltre che di quello socio-politico, psicologico, psicoanalitico, e persino giuridico. E altrettanto significativa e la traccia dostoevskiana in diverse arti: dal teatro alla musica al cinema.[1]
Il processo di “rivelazione” del genio dostoevskiano in Italia non fu lineare ne agevole. Occorsero infatti diversi decenni di dubbi, pregiudizi, travisamenti ed interpretazioni erronee della poetica dello scrittore russo prima che ne incominciasse una lettura piu matura ed empatica. I primi tentativi interessanti in tal senso appartengono all’inizio del Novecento, ma e solo dagli anni ’20 che Dostoevskij viene accolto pienamente dalla cultura italiana: non piu come un corpo estraneo ed esotico, attraente nella sua “stranezza” e “morbosita” e rappresentante di una letteratura, quella russa, che fino a poco tempo prima veniva considerata periferica rispetto a quelle europee; ma come un grande classico della contemporaneita capace di svelare nuovi temi e rivoluzionario nella scrittura. Da questo momento in poi la cultura italiana rimarra estremamente ricettiva nei confronti di Dostoevskij, e sapra dare interpretazioni originali, a volte molto acute, della sua opera.
L’episodio-chiave nella storia della ricezione dostoevskiana in Italia va rintracciato in un articolo del giovanissimo Piero Gobetti, «Dostoevskij classico» (1921), che spazzava via con precisione impressionante i pregiudizi accumulati sullo scrittore russo [25;95-98]. Primo in Italia, Gobetti vedeva chiaramente in Dostoevskij il grande artista della penna, lo stilista raffinato e al tempo stesso libero dai canoni. Gobetti recuperava cosi quel legame imprescindibile tra qualita letteraria e originalita di pensiero che fino ad allora era stato negato, ad esclusivo vantaggio del Dostoevskij pensatore.
Negli stessi anni intervenne un fattore decisivo per una corretta ricezione dell’opera dostoevskiana: cominciarono a diffondersi traduzioni di buona qualita, fedeli al testo e condotte direttamente sull’originale russo. Se fino a quel momento il lettore italiano si era trovato a leggere un romanziere “abbellito” e rimaneggiato secondo i canoni del gusto e della moda della belletristica francese ed italiana, a partire dagli anni ’20 le caratteristiche stilistiche di quei romanzi e racconti apparvero per la prima volta in una forma molto prossima alia fonte. Piu complessi, ma piu comprensibili nella loro unicita, e percio piu incisivi [11], [20], [34].
Un ruolo importantissimo per la ricezione della letteratura russa in Italia lo ebbe quella folta e qualificata emigrazione di letterati e scrittori che, lasciata la Russia bolscevica, scelsero di vivere per periodi piu o meno continuativi nella Penisola italiana. Molti di loro divennero attivi intermediari tra le due culture e furono tra i protagonisti della vita intellettuale italiana [3].
Un altro fattore storico significativo, peraltro interconnesso con il precedente, consiste nella nascita, in quegli stessi anni ’20, della slavistica e russistica accademica italiana. A questi anni risalgono infatti le prime cattedre universitarie dedicate allo studio della lingua e della letteratura russa, emergono le prime figure di specialisti (tra questi spiccano i nomi di Ettore Lo Gatto, Enrico Damiani, Evel Gasparini, Wolf Giusti ed altri) [16], [19], [22], [29], [33]. Grazie a questi studiosi competenti e appassionati trovano immediata espansione sia l’attivita di ricerca scientifica (con le prime riviste e collane editoriali dedicate alle letterature slave) che la divulgazione a piu livelli (su giornali e riviste popolari, oltre che nell’opera di traduzione e di introduzione ai romanzi tradotti). Decine di case editrici si cimentano con le letterature slave e in primo luogo con quella russa, che diventa popolarissima anche in conseguenza degli straordinari avvenimenti storici (la Russia e chiaramente al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica dopo gli avvenimenti del 1917) [34], [12].
Non e percio un caso che proprio in questo periodo attorno a Dostoevskij aumenti cosi tanto l’interesse dei letterati e degli intellettuali italiani. Tanti aspetti dell’opera e del pensiero dello scrittore russo risultano ancora nuovi e sorprendenti, suscitano dibattiti di cui si puo trovare eco sulle riviste letterarie, nei giornali e nella corrispondenza privata di numerosi esponenti dell’intelligencija italiana [37]. La popolarita dei suoi romanzi e dimostrata anche da una discreta produzione di spettacoli teatrali, opere liriche e film ispirati ad essi.[2]
Ma e soprattutto sul piano della letteratura italiana che si puo cogliere un “effetto Dostoevskij”: se, infatti, e vero che l’influsso del romanzo tolstoiano e predominante (e lo sara ancora di piu dopo la Seconda Guerra Mondiale), le tecniche narrative e determinati temi dostoevskiani suggestionano la parte piu sperimentale degli scrittori italiani, penetrando in varie forme, non sempre evidenti, nelle loro trame e modalita di scrittura [9].
Sempre a partire da questo periodo, i personaggi del romanziere russo cominciano a rivivere stabilmente nel pensiero religioso e filosofico italiano. Da una parte e forte l’impatto dei suoi personaggi-ideologi, specialmente i “demoni” nichilisti e l’individualista “superomista” Raskol’nikov: le loro figure vengono discusse alla luce della diffusione del comunismo sovietico e delle ideologie di massa, ivi compreso il nascente fascismo [5]. Va ricordato, del resto, che l’ascendente degli esperimenti politici russi in Italia era forte sin dalla seconda meta dell’Ottocento, e concetti come nichilismo, populismo, anarchismo vi avevano ampiamente attecchito ben prima della nascita del fascismo. Non meno rilevante e la penetrazione dei temi spirituali dell’opera dostoevskiana nel pensiero religioso, e specificamente cattolico italiano. La sfida dello scrittore russo al cattolicesimo venne accolta come una possibilita di mettere in discussione alcuni fondamenti della tradizione religiosa occidentale, mentre la sua lettura del cristianesimo russo fini per affascinare pensatori di ogni livello.
Di questa polimorfa ricezione dell’opera dostoevskiana nell’Italia della prima meta del Novecento molto e stato studiato. Tuttavia, ad oggi mancano studi complessivi che ce ne offrano un panorama ragionato (una parziale eccezione e rappresentata dall’ottimo saggio di Sergia Adamo dedicato alla ricezione di Dostoevskij nelle riviste letterarie) [7]. Non sono stati finora studiati i legami tra le caratteristiche di questa ricezione e popolarita e le specificita della vita culturale dell’Italia del Ventennio fascista (1922-1943). Uno studio su questi aspetti della ricezione dostoevskiana sarebbe peraltro auspicabile. In sua mancanza ci si potra basare per adesso su dati essenzialmente frammentari, ma abbastanza indicativi di alcune possibili tendenze in attesa di verifiche piu precise.
Nella sua prima fase, corrispondente all’incirca agli interi anni ’20, il fascismo italiano si trovo ad imbastire la propria politica culturale in modo meno consapevole di quanto non avesse fatto sin dalle origini il bolscevismo nella Russia sovietica. Sotto questo profilo, proprio l’esperienza sovietica rappresentava per Mussolini e per i suoi sodali il modello piu prossimo, con tutte le contraddizioni implicite nel fatto di ispirarsi a quello stesso nemico ideologico da cui il fascismo nasceva per opposizione e rigenerazione. Del resto, per tutti gli anni ’20 il regime fascista oscillo tra un anticomunismo radicale e un rivoluzionarismo di destra che del comunismo era la copia ribaltata e deformata, ma riconoscibile. Che per alcuni anni il fascismo rimanesse ambiguo nel proprio atteggiamento verso l’URSS, e che coltivasse al proprio interno la tentazione di un avvicinamento a quel modello, e cosa che non puo stupire. Lo dimostrano le relazioni diplomatiche e commerciali tra i due stati, che Mussolini volle ristabilire sin dalla presa del potere nel 1922 e che portarono al riconoscimento dell’URSS da parte del Regno d’Italia gia nel 1924 (l’Italia fu cosi tra i primi stati a riconoscere ufficialmente l’Unione Sovietica) [13;238-239]. E solo a partire dagli anni ’30 il fascismo ricuso in modo netto ogni affinita ideologica con l’URSS.
Gli storici tendono ad osservare nella politica culturale del regime mussoliniano la sostanziale carenza di una concezione organica e totalizzante [22;13-14] con la conseguenza che lo status e il ruolo della cultura nell’Italia fascista risultano molto piu modesti di quelli che caratterizzano sia la situazione sovietica che, successivamente, quella nazionalsocialista in Germania, due stati totalitari in cui la politica culturale era da considerarsi centrale e strategica. In Italia non fu percepita la necessita di investire la nuova cultura totalitaria del fascismo di una missione cosi marcata, ne di delegare un ruolo di primo piano ai letterati; di conseguenza, manco anche una censura cosi ferrea e totalizzante come quella che agiva in URSS e in Germania. Il fascismo in genere concentro le proprie attenzioni sulla cultura di massa, lasciando alle elites culturali una relativa liberta di espressione, purche non entrassero direttamente nelle questioni della politica nazionale e dell’ideologia al potere.
La popolarita della letteratura russa, e persino di quella sovietica, non soltanto non trovo particolari ostacoli nell’Italia mussoliniana, ma anzi crebbe assai rapidamente almeno fino alla prima meta degli anni ’30, quando l’atmosfera cambio in modo repentino e la propaganda antisovietica (ma anche, piu in generale, autarchica e isolazionista) comincio ad ingerire in modo attivo sulla vita culturale del paese. Solo in quegli anni la censura divenne capillare, con la conseguenza di ridurre al minimo la quantita di pubblicazioni legate alla Russia. Solo a questo punto si verificarono anche episodi di confisca di tirature gia pronte [31;74]. Un mercato editoriale fiorentissimo venne in questo modo soffocato nel giro di brevissimo tempo.
Ma fino a quel momento la letteratura russa aveva avuto larga diffusione nell’editoria italiana, e tra gli autori russi Dostoevskij occupava il primo posto per quantita di libri pubblicati, con tirature spesso assai significative [34]. Case editrici di ogni dimensione facevano a gara per assicurarsi traduzioni dei romanzi e dei racconti dello scrittore russo, e intorno a quelle traduzioni e alle figure dei traduttori avvampavano puntualmente accese polemiche, confronti e discussioni, aventi come oggetto la fedelta e qualita letteraria delle traduzioni stesse.
L’attenzione nei confronti di Dostoevskij era cosi alta da giustificare la traduzione non solo delle sue opere letterarie, ma anche di una parte consistente della pubblicistica (a partire dal «Diario di uno scrittore», tradotto da Ettore Lo Gatto) e del corpus epistolare (nella traduzione di Ol’ga Resnevic Signorelli). In tal modo anche le opinioni politiche dello scrittore trovarono ricezione tra il pubblico italiano. Ma cio non porto, come forse ci si sarebbe potuti aspettare, alla costruzione di un’immagine pubblica di Dostoevskij precursore della “rivoluzione fascista”, conservatrice e anticomunista, come invece avveniva in Germania negli stessi anni e anche da prima [6], [35]. Gli argomenti in favore di questa visione (risvolti politici e biografici, e specialmente i punti di vista espressi da Dostoevskij nel «Diario di uno scrittore») ebbero in Italia una presa modesta, al contrario degli spunti che derivavano dalla sua produzione letteraria. Contro questa sua immagine di nazionalista mistico prevalse ampiamente l’idea dello scrittore profeta dell’umanesimo cristiano, universale e fraterno, probabilmente perche piu familiare alla componente cattolica della societa italiana. Non a caso cominciavano ad avere discreta popolarita le interpretazioni di Nikolaj Berdjaev e di Vjaceslav Ivanov (quest’ultimo, va ricordato, visse buona parte della sua esistenza a Roma ed intrattenne attivi scambi con gli intellettuali italiani). Piu del Dostoevskij scrittore nazionale russo si impose dunque l’immagine del Dostoevskij scrittore (e pensatore) religioso e universale. Proprio negli anni ’30 comincio a studiarne l’opera sotto un profilo etico-filosofico uno dei piu originali rappresentanti dell’esistenzialismo italiano, Luigi Pareyson. Fu prima di tutto il fondamento etico e spirituale, soprattutto in chiave cristiana, dei romanzi dostoevskiani a colpire l’immaginario collettivo dei lettori italiani.
In questo processo, l’ideologia fascista rimaneva in disparte. I principali rappresentanti ufficiali della cultura italiana dell’epoca, il fascista Giovanni Gentile e l’indipendente Benedetto Croce, in generale non dimostrarono di apprezzare e capire piu di tanto la cultura russa e la sua russa, e in particolare si mostrarono assai guardingii, se non addirittura ostili, nei confronti di Dostoevskij. Cio riguarda soprattutto Croce, cie con ogni evidenza non lo capi e non ne seppe apprezzare il talento, se e vero che lo assimilava frettolosamente al verismo italiano e al naturalismo francese della fine dell’Ottocento [7;89]. In generale in quella valutazione trapela un pregiudizio complessivo nei confronti del pensiero russo: Croce riteneva l’intelligencija russa evanescente ed arretrata, un po’ “barbarica”, sotto il punto di vista filosofico e politico.
Su posizioni simili, almeno inizialmente, si posizionava anche Gentile [36;42]. In uno scritto del 1919, per esempio, definiva l’intelligencija russa «la matta genia prolificata da quell’astratto e spiantato spirito russo, che fu cosi tipicamente espresso dalle ingenue teorie di Bakunin e dall’arte stessa del Tolstoi» [21;340]. Va pero detto che Gentile, vero promotore della politica culturale del fascismo, con il tempo si dimostro piu lungimirante: il suo implicito riconoscimento del valore di Dostoevskij (e della letteratura russa) si desume dalle iniziative che intraprende a partire dal 1932, quando diviene titolare della casa editrice Sansoni. In quella veste, Gentile si distingue per un piano editoriale che ricorda da vicino la collana “Vsemirnaja literatura” ideata da Gor’kij nella Russia sovietica; tra i classici della letteratura mondiale inseriti nel progetto sansoniano, poi solo in parte realizzato, si trovano infatti anche i principali romanzi di Dostoevskij e di altri scrittori russi, oltre alla fondamentale «Storia della letteratura russa» di Ettore Lo Gatto [38;197].
Ma in generale, la penetrazione dell’opera di Dostoevskij nella coscienza culturale italiana fu opera prevalentemente di intellettuali e letterati tangenziali rispetto all’ideologia fascista (come Alberto Moravia, Alfredo Polledro tra gli altri), quando non direttamente suoi avversari (come Piero Gobetti, Leone Ginzburg, Antonio Gramsci ed Evel Gasparini tra gli altri). Al contempo, gli intellettuali piu organici al fascismo si spingevano spesso a dichiarare la pretesa autosufficienza (ovvero “primate”) dello “spirito italico”, negando con cio ogni necessita di interazione con le culture allogene, e a maggior ragione con quella della politicamente “appestata” Russia. Sintomatiche sono le dichiarazioni rilasciate nel 1927 ad una rivista francese da un fascista militante come lo scrittore Curzio Malaparte, per il quale Dostoevskij era «Un energumene ёpileptique. Connais pas. Tolstoi? Un vieux type qui est al^ mourir dans une salle d’attente de troisieme classe, dans une petite gare de Russie. Il ne faut pas lire les auteurs qui ne sont pas latins. C’est inutile est c’est ncMaste» [27;84-85]. Malaparte in realta non soltanto era un grande conoscitore della Russia (che aveva visitato dopo la Rivoluzione), ma ne apprezzava sicuramente la letteratura; e Dostoevskij, fra gli altri, sembra avere avuto un ruolo di primissimo piano anche per i suoi orientamenti stilistici e narrativi [23]. La natura dissacrante e provocatoria delle sue dichiarazioni va percio letta alla luce della personalita molto sopra le righe di questo scrittore e della sua appartenenza ad un’idea estetica di fascismo permeata dallo spirito radicale e iconoclastico del futurismo. Il caso di Malaparte risalta, ma non va inteso come un caso isolato: questo genere di spacconeria era caratteristico della frazione piu radicale del fascismo italiano e per nulla minoritario, specialmente negli anni ’20.[3]
Non si puo comunque dire che non ci fossero anche tentativi di “fascistizzare” Dostoevskij. Negli anni ’30 se ne incontrano: per esempio, un’occasione di propaganda in tal senso arrivo nel 1931, cioe in concomitanza con il cinquantenario dalla morte dello scrittore. Questa ricorrenza ebbe grande risalto nell’ambiente intellettuale italiano, e si ricorda in particolare un numero speciale della rivista letteraria “La Cultura”, curato da Leone Ginzburg, nel quale furono ospitati scritti su Dostoevskij dei principali studiosi dell’epoca, italiani e stranieri (fra questi, Al’fred Bem e Vladimir Pozner) [15]. Ma se l’elite intellettuale coglieva l’occasione del cinquantenario per leggere una volta di piu e commentare l’opera di Dostoevskij, l’anniversario fu anche il pretesto per una commemorazione di carattere ufficiale e patriottardo. Ci si riferisce alla solenne inaugurazione del monumento tombale della figlia dello scrittore, Ljubov’ Dostoevskaja, in un sobborgo di Bolzano, in Alto Adige. Ljubov’ Dostoevskaja vi aveva trascorso gli ultimi anni di vita ed era li morta in poverta cinque anni prima, nel 1926. Che la tomba fosse molto modesta era stato messo in luce da un giornale viennese, «Neue Freie Presse», che incitava l’opinione pubblica ad impegnarsi per dare maggiore decoro alla sepoltura. L’Alto Adige (storicamente Tirolo meridionale) era stato annesso al Regno d’Italia solo nel 1919, e la sua popolazione era in larga maggioranza germanofona. La segnalazione della «Neue Freie Presse» conteneva percio un’implicita polemica anti-italiana che fu immediatamente colta dalla stampa italofona dell’area. A brevissimo giro, Gino Cucchetti, redattore capo della «Rivista della Venezia Tridentina», punto nell’orgoglio, con la collaborazione di altre riviste nazionali rilancio la posta, chiamando autorita e popolazione italiana a una raccolta fondi che rapidamente ottenne il risultato. Il 12 dicembre del 1931 fu solennemente inaugurato il nuovo monumento funebre a Ljubov’ Dostoevskaja, opera di uno scultore locale. Nella sua veste decorativa, dominata da fasci littori, il monumento sottolineava il messaggio nazional-patriottico sottinteso nell’intera operazione [28;98-104].
E tuttavia non va sovrastimata la portata di questo episodio, che ebbe rilevanza, di fatto, solo a Bolzano e nei suoi dintorni. In generale la figura di Dostoevskij dovette apparire troppo complessa e ambigua, e percio potenzialmente pericolosa, per poterla canonizzare nell’orizzonte ideologico del fascismo. Come Sergia Adamo desume dalla sua analisi dei giornali e delle riviste dell’epoca,
Dopo il 1931, mentre in Italia si facevano sempre piu centrali le istanze di fabbricazione del consenso <...> anche l’accostamento a Dostoevskij subi una svolta. <...> con una preliminare opera di riduzione della problematicita che era andata emergendo soprattutto nel corso degli anni ’20 <.> lo scrittore russo venne piegato a incarnare i motivi fondamentali della propaganda fascista e contemporaneamente marginalizzato. <.> Su queste basi, Dostoevskij venne rivestito contemporaneamente della funzione di fautore di una religiosita statalizzata in vista di un primato imperialistico e di ammonitore nei confronti della vera natura del bolscevismo. La costruzione dostoevskiana del primato russo-ortodosso poteva diventare un modello per la missione imperiale fascista, che aspirava, a partire dall’Italia, a imporre una supremazia fatta di tradizione nazionale e apertura allo sviluppo [7;193-195].
L’attrazione esercitata sul regime fascista dalla Germania hitleriana nella seconda meta degli anni ’30 porto ad imitare l’alleato in forme sempre piu palesi su molti temi di carattere sociopolitico e nelle forme della comunicazione di massa. Si acuirono le connotazioni etniche e razziste del nazionalismo italiano, come anche l’ossessione imperialista, nutrita di una retorica da “missione civilizzatrice”. Ma soprattutto si fece strada anche in Italia un antisemitismo bellicoso che fino a quel momento aveva avuto un ruolo molto marginale nel dibattito interno del paese. E non e un caso che proprio nel settembre del 1938, all’indomani, cioe, della proclamazioni in Italia delle famigerate “leggi razziali”, apparisse nella «Gazzetta di Venezia» un articolo, anonimo, dal titolo eloquente: «La rivoluzione (ebraica) russa e una profezia di Dostoiewski» [10;5]. Appoggiandosi all’autorita di Dostoevskij, l’anonimo autore di questo testo denunciava il ruolo suppostamente pernicioso degli ebrei per l’economia mondiale. Fino a quel momento, gli scritti antisemiti di Dostoevskij avevano trovato eco nella stampa italiana soltanto una volta, nel 1927, quando «Il Selvaggio», una delle riviste culturali di punta del fascismo, aveva pubblicato la traduzione di un estratto dall’articolo «Status in statu», desunto dal «Diario di uno scrittore» [32;87]. Per quanto l’antisemitismo non fosse del tutto assente dal dibattito socio-politico italiano dell’epoca, e anzi venisse spesso usato per argomentare ostilita nei confronti della rivoluzione bolscevica (mostrata dalla propaganda fascista come la presa di potere in Russia da parte degli ebrei) [13;235], tuttavia in Italia l’atmosfera non era cosi pesantemente antigiudaica come in tanti altri paesi d’Europa, e comunque il nome di Dostoevskij non era solito associarsi a questo tipo di tematiche. Marginale, dunque, l’influsso della polemica antiebraica sollevata da Dostoevskij nel «Diario di uno scrittore», mentre dalla Russia si erano diffusi anche in Italia e con ben maggiore influsso i «Protocolli dei Savi di Sion» [14], [17], [18].
Rimangono da verificare molti aspetti della presenza e dell’uso del nome di Dostoevskij (e di suoi personaggi) nel dibattito culturale e socio-politico italiano del Ventennio fascista. Per esempio, andrebbe indagata l’eventualita che la propaganda bellica possa essersi richiamata al grande scrittore russo sul fronte sovietico durante la Seconda Guerra Mondiale (sia ad uso delle truppe dell’ARMIR che per avvicinare gli occupanti italiani alle popolazioni dell’URSS con cui venivano a contatto). Episodi di tal genere sono ricordati dalla memorialistica sovietica e tedesca in relazione all’esercito nazista, alcune divisioni del quale si appropriarono del nome Dostoevskij come proprio vessillo di battaglia, indicandolo non troppo implicitamente come un autore compatibile con l’ideologia del nazional-socialismo e come autorevole nemico di socialismo ed ebraismo [6]. Non si possono escludere episodi analoghi tra le truppe italiane e per opera degli agitatori della propaganda fascista in territorio sovietico; tuttavia, finora dagli studi esistenti non ne risultano. Al contrario, sono noti casi di segno opposto: il nome di Dostoevskij era menzionato come simbolo di umanesimo, spiritualita e senso di pieta e giustizia, anche in senso politico, da diversi rappresentanti dell’antifascismo (tra questi si possono menzionare Gramsci negli scritti dal carcere e il partigiano Toni Giuriolo cosi come ricordato dallo scrittore Luigi Meneghello, suo compagno di lotta partigiana) [26], [30;180].
Per trarre delle prime, molto provvisorie conclusioni: l’idea di studiare il posizionamento ideologico dei diversi regimi totalitari e dei loro sistemi culturali nei confronti dell’opera di Dostoevskij non e un capriccio ozioso, ma un compito complesso e di grande rilevanza storica e culturologica. L’autore dei «Demoni» e dei «Fratelli Karamazov», come si e piu volte sottolineato, ha saputo intuire (secondo molti “profetizzare” o “predire”) i meccanismi del pensiero totalitario e le sue conseguenze sul comportamento individuale e di massa. Inoltre, lo stesso Dostoevskij aspirava ad un ruolo di primo piano come pubblicista e ideologo nazionale russo, fornendo spunti, potenti e contraddittori, per letture politiche tra loro anche molto distanti. Questo e sufficiente per spiegare, tra l’altro, l’ambiguita con cui tutti i regimi totalitari europei del Novecento (dal comunismo al nazismo, passando per il fascismo) si rapportarono ad uno scrittore che da un lato si prestava a rivestire i panni affascinanti del “profeta” (della nazione, del cristianesimo, del popolo, della reazione, ecc.), ma dall’altro appariva come un temibile antagonista e smascheratore delle ipnosi di massa e degli esperimenti politici e sociali. E come lo scrittore, anche i suoi personaggi, specialmente se decontestualizzati, solleticavano la tentazione di letture manipolatorie e parziali, ma mai si piegavano del tutto ad esse, rimanendo indipendenti da ogni tentativo di lettura ideologica cosi come sono, di fatto, rimasti indipendenti anche dal loro stesso autore.
[2] Un censimento completo di queste opere ancora non e stato fatto.
[3] Lo spirito provocatorio era tra gli aspetti piu vistosi del fascismo italiano e valse a conquistare a questo movimento ampie simpatie internazionali, anche da parte di intellettuali. Non va dimenticato il ruolo pionieristico del fascismo italiano nello sviluppo dei movimenti di destra sociale in tutto il mondo. Sui legami piu specificamente tra fascismo italiano e fascismo russo, si vedano [2], [4], [24].
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